La conservazione delle farfalle

- Cause della rarefazione

di Stefano Bossi


 



La maggior parte delle farfalle viventi sulla Terra si è evoluta in una direzione di specializzazione molto accentuata, per cui ognuna ha delle specifiche esigenze sia dal punto di vista alimentare, che biologico e climatico, a volte riscontrabili solo in habitat ristretti e perciò maggiormente a rischio. 

Modificare queste condizioni vuol dire, pertanto, eliminare delle specie che non possono adattarsi a delle condizioni diverse. Si risolvono infatti spesso in tristi insuccessi i tentativi di reintroduzione di alcune specie, localmente estinte, in zone dove precedentemente erano presenti: se le condizioni ambientali non sono più quelle a loro necessarie, o ad esempio le piante alimentari dei bruchi non sono più presenti o sono trattate chimicamente, non potranno più riprodursi e dare vita a nuove colonie. 

Il risultato di tutto ciò è che in vaste zone molte specie sono diventate non solo rare, ma si sono estinte o sono gravemente minacciate. Leggendo i testi di alcune decine di anni fa ci si rende conto con tanto rammarico, e a volte anche con un certo stupore, che molte farfalle che erano comuni, oggi non lo sono più. 




Le pressioni ambientali, di origine antropica e naturale, secondo O. Kudrna, 
Aspects of the conservation of butterflies in Europe, Aula Verlag 1985



Il massiccio uso in agricoltura di sostanze tossiche, come insetticidi, pesticidi e diserbanti, oltre ad inquinare globalmente l’ambiente in cui l’uomo vive, ha anch’esso contribuito alla devastazione del mondo delle farfalle. 

Ora il nostro paesaggio, caratterizzato da coltivazioni intensive e insediamenti industriali, è ordinato e ripulito; i prati, un tempo incolti e fioriti, sono perennemente rasati e le specie che vi vivevano sono state quasi completamente sterminate. 

Studi recenti hanno evidenziato che il taglio meccanico di un prato naturale causa l’eliminazione del 90% delle farfalle che vi erano infeudate e la sparizione totale di moltissime specie. Solo alcune, più adattabili o fortunate, riescono a sopravvivere in pochi esemplari. 

Anche la pratica, diffusasi negli ultimi anni, del taglio sistematico della vegetazione spontanea che cresce lungo le rive delle strade, sugli argini dei torrenti e nei fossati, effettuata con mezzi meccanici sempre più efficienti, sta rapidamente distruggendo uno degli ultimi microambienti dove ancora certe farfalle potevano sopravvivere. 

Anche in questo modo non si dà scampo a uova, larve e crisalidi che vengono falcidiate senza possibilità di fuga. Ciò è particolarmente grave perché ormai praticato non solo in ambienti già antropizzati, ma anche in comuni montani o addirittura all’interno di parchi nazionali, che invece dovrebbero operare per la conservazione di tutti gli animali che vi abitano. 






Euphydryas aurinia,farfalla tutelata UE che sembra in irreversibile declino
 


Un’ altra piaga che in anni recenti è diventata sempre più grave e minacciosa è quella costituita dagli incendi, estivi e non, ma comunque quasi sempre dolosi, che divampano solitamente in zone naturali e non abitate, tra montagne ancora ricche in patrimonio faunistico e vegetale. In pochi attimi vengono così completamente distrutti interi ecosistemi, difficilmente ricostituibili, soprattutto dal punto di vista della microfauna e delle farfalle in particolare. Negli ultimi anni regioni come la Liguria e altre dell’Italia centro-meridionale e insulare hanno subito per questo motivo un gravissimo impoverimento del proprio patrimonio naturale. 

Non si può dimenticare inoltre che le modificazioni, che vengono e verranno apportate in futuro al patrimonio genetico di molte piante, avranno a loro volta conseguenze negative sulla popolazione di molte specie di farfalle, che di queste si nutrono allo stadio larvale. Ne è un esempio lo sterminio di milioni di farfalle Monarca (Danaus plexippus) avvenuto ultimamente a causa delle modificazioni genetiche introdotte nel granoturco delle cui foglie erano solite nutrirsi allo stadio larvale durante la loro annuale migrazione dall’America Settentrionale al Messico e viceversa.